COMUNE DI PIACENZA

La città di Piacenza fu fondata sul lato destro del fiume Po, vicino alla confluenza con l'affluente Trebbia. Piacenza è anche provincia dell'Emilia Romagna, e presenta un territorio per un terzo pianeggiante, mentre la restante parte si presenta montuoso e collinare. Ancora oggi molti Piacentini si sentano prettamente Lombardi e vorrebbero confuire all'interno della regione Lombardia.

Il territorio della provincia di Piacenza presenta molti corsi d'acqua che coinvogliano come affluenti verso il Po, fra questi ricordiamo: Todone, Trebbia, Nure, Riglio e l'Arda. Lungo la fascia Appennina, oltre la quale si trovano i confini con la regione Liguria, Piemonte e Pavia, i rilievi superano di poco i 1700 metri: Monte Ragola (1710 m.), Monte Alfeo (1650 m.), Monte Megna (1379 m.) e Monte Aserei (1421 m.).

Piacenza è anche una di quelle città facenti parte della Via Francigena, che fu percorsa dall'arcivescovo di Canterbury Sigerico nel 990 per avere udienza a Roma dal papa, e che ancora oggi è percorsa ogni hanno da migliaia di pellegrini.

Nella provincia di Piacenza, lungo la Val Trebbia, si trova il comune di Bobbio, il quale fu fondato dal monaco di origini irlandesi Colombano nel VI sec. d.C. , nell'alto Medioevo divenne un centro importante per tutta Europa. Di questo comune si ricorda spesso la storia oscusa della nascita del suo ponte in una sola notte: il Ponte Gobbo, ma questo di certo non deve offuscare le bellezze site all'interno di questo piccolo centro abitato ove poter ammirare il Duomo e la Basilica di San Colombano la quale si caratterizza per le decorazione a Mosaico e il Castello Malaspina. Continuando il percorso nella provincia Piacentina, si giunge a Monticelli d'Ongina, questo luogo è ricordato soprattutto per la Rocca Pallavicino, dove oggi si trova il museo Etnologico e un acquario con le specie ittiche del fiume Po. Sempre a Monticelli d'Ongina si può ammirare la Collegiata di San Lorenzo risalente al XV sec. Spostandoci nella Val d'Arda troviamo il Parco Nazionale Archeologico di Veleia Romana, dove si possono visitare i resti di un termario con annesso il foro romano.

 
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STORIA  

La città di Piacenza venne fondata nel 218 a.C. , i primi insediamenti furono sulla sponda destra del fiume Po. A questo insediamento venne dato originariamente il nome di Placentia. La città nacque per scopi militari, come avamposto per i successivi ampliamenti verso le terre del nord da parte di Roma. I contatti con la capitale dell'Impero Romano furono velocizzati grazie alla realizzazione della via Emilia (Aemilia) nel 187 dal console Marco Emilio Lepido, che collegava Piacenza con le altre città della regione: Parma, Reggio, Modena ecc... sino ad arrivare a Rimini, punto d’incontro con la via Flaminia. Il centro della città romana (il Foro), lo si può individuare ancora oggi nella chiesa di S. Martino; in città fu costruito un grande anfiteatro romano e l’emporium (centro commerciale e porto fluviale), ma di questi non è stato ancora possibile ritrovarne traccia. la chiesa intitolata al santo patrono della città: S. Antonino nel 370 d.C., il quale fu un legionario convertito e martirizzato nel 303 d.C., a seguire fu edificata la chiesa dei dodici apostoli e S. Maria in Cortina, mentre nel VI sec. si edificò la chiesa intitolata a S. Martino.
Alla caduta dell’impero romano, si susseguirono ondate barbariche e successioni di poteri, come quella Longobarda. Nell’ IX sec., sotto la dominazione dei Franchi, la chiesa cattolica ebbe maggiore influenza sulla città, questo portò ad una nuova edificazione di luoghi sacri e di monasteri, soprattutto all’interno delle mura cittadine, collocandosi attorno all’area ove sorgeva la cattedrale e la sede vescovile. Successivamente alla costruzione del Duomo, la cattedrale di S. Antonino perse la sua importanza principale. Con l’avvento dell’anno 1000, Piacenza ebbe un balzo in avanti in termini economici e culturale, questo portò ad un aumento demografico della popolazione. 
Gli spostamenti di persone e pellegrini incrementarono anche in corrispondenza dell’asse della via Francigena, che dal nord Europa portava sino a Roma, passando per Lucca, oltre ad essere un punto strategico per poter raggiungere Genova, attraverso il passo appenninico di Scoffera. Di conseguenza nacquero luoghi di ristoro e di pernottamento, soprattutto attorno ai conventi e alle chiese, a questi servizi si affiancarono anche molte botteghe artigianali.
L’andamento economico fiorente fece nascere il ceto medio, che si affiancava alla scala sociale accanto a quello della nobiltà e alla signoria. Questo andamento positivo si prolungò con la trasformazione della città in comune sul finire dell’XI sec. e con l’annessione di Piacenza alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa.
Nel 1221 si insidiò a Piacenza un nuovo ordine religioso quello dei Domenicani, i quali si trovarono da subito in conflitto con l'ordine dei Templari, caratterizzato dallo stampo aristocratico e guerriero. A dividere le proprietà terriere delle due fazioni furono erette tre colonne, delle quali solo una è ancora oggi visibile accanto alla chiesa di S. Giovanni in Canale. Tuttavia il tempio e il monastero dei Templari vennero distrutti, ai giorni nostri è giunto un solo frammento di muro incastonato all’interno delle attuali abitazioni.
Tale splendore terminò con il crollo delle banche piacentine nel 1254.
Sempre in epoca Comunale abbiamo la costruzione di un edificio importante per la città: il Comune. L’edificio nacque all’inizio come il simbolo delle istituzioni aristocratiche e mercantili. La città si poneva come una fra le più grandi d’Europa nel XII e XIII sec. grazie anche al numero di abitanti raggiunto, si stima fossero circa ventimila.
Grande importanza economica ebbe anche lo sfruttamento dei canali, oggi tutti interrati, per il funzionamento dei mulini, attraverso i quali si potevano lavorare le pelli e tessuti.
Nel XIII sec. iniziarono una serie di lotte interne, guidate da guelfi e ghibellini, che si contendevano il governo della città.
Nel 1290 ascese al potere Alberto Scotto, il quale fece bandire dalla città gli oppositori sia guelfi che ghibellini. Tuttavia i suoi nemici continuarono a bramare la sua morte anche all’esterno della città, aspettando il momento opportuno per colpirlo. Scotto trovò quindi un alleato nei Visconti signori di Milano. Per meglio sigillare il loro accordo, Alberto corse in aiuto di Matteo Visconti nella guerra contro la lega dei comuni di Pavia, Bergamo, Cremona e Ferrara. Tuttavia la situazione volgeva al peggio quando il figlio di Matteo Visconti sposò Beatrice d’Este, sorella del Marchese Azzo VII. Per risolvere la questione, nel 1302 Alberto si mosse contro Milano assieme a Cremona, Crema, Lodi, Novara e il marchese di Monferrato. La sconfitta fu netta e Alberto si ritrovò al contempo signore di Milano, Piacenza, Bergamo e Tortona.
Nel 1315 Giangaleazzo Visconti rafforzò la cinta muraria e nel 1373 fu eretta la cittadella. Con la decadenza della famiglia Visconti e con il sorgere della famiglia degli Sforza, la città si affiancò alla Repubblica di Venezia nel tentativo di eliminare la signoria. Questo portò le truppe milanesi nei territori piacentini, i quali assediarono la città e bloccarono la via verso il fiume, giungendo a prendere la città. Con l'arrivo della signoria Milanese al potere, i grandi aristocratici riuscirono ad impossessarsi di maggiori poderi e ottenere grandi privilegi, un esempio fra tutti la famiglia dei Landi.
Nel 1513 il figlio di Ludovico il Moro, Massimiliano, riuscì a strappare al nemico le città di Parma e Piacenza, che le vendette, dietro compenso, alla chiesa. Tuttavia i possedimenti appena acquisiti dallo stato pontefice passarono in mano francese, per poi tornare alla chiesa nel 1521. Fu inviato come commissario del territorio Francesco Guicciardini, il quale elaborò la resistenza da apporre contro le truppe di Francesco I.
Nel 1534 al soglio papale salì Alessandro Farnese, un personaggio dalle mire espansionistiche, nonché assetato di potere, il quale cercò di scindere le città di Parma e Piacenza in favore del figlio, il quale aveva già acquistato dallo stato pontificio a prezzo di favore Nepi e Camerino. Nel 1545 il figlio Pierluigi ricevette l’investitura ducale delle due città in cambio della restituzione di Nepi e Camerino. Nel breve periodo di vita del ducato, Pierluigi creò un poderoso esercito combattente e furono rafforzate le difese della città, fu eretto un nuovo castello, denominato dalla popolazione “castello del diavolo”. A causa del mal contento generale di tutte le classi sociali, nel settembre del 1547 il duca Pierluigi fu assassinato dagli spagnoli, mentre era in corso l’udienza accordata ai membri aristocratici. La città fortificata fu successivamente smantellata, così come le mura e le torri furono abbattute. 
Nel 1594 morì Ranuccio I, il quale lasciò in eredità al figlio un enorme debito dovuto soprattutto alla dispendiosa vita di corte, nonché al continuo rifocillamento delle truppe imperiali.
Questi furono gli ultimi anni in cui la popolazione ebbe una situazione tutto sommato di tranquillità e di benessere, in quanto successivamente si scatenarono le guerre, le carestie e la peste. 
Con l’affacciarsi sullo scenario politico Europeo di Filippo V di Borbone, insidiatosi al governo di Madrid, ci furono spiragli per nuove alleanze per il ducato, infatti Francesco fece combinare il matrimonio fra sua figlia Elisabetta e il principe ereditario spagnolo. Alla morte del duca di Piacenza, subentrò il fratello Antonio, che governò senza alcun freno alle sue smanie di lusso e di feste. Alla morte di quest’ultimo nel 1731, il regno passò nelle mani del figlio di Elisabetta: Carlo. Egli rimase per poco tempo, infatti nel 1734 era già in partenza per Napoli, di cui era diventato sovrano, lasciando quindi il controllo dei territori alla duchessa Dorotea Sofia di Neuburg. 
Nel 1746 si insidiò a Parma il figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese: don Filippo, il quale chiamò alla sua corte Du Tillot, il quale cercò di risanare le casse ducali ormai vuote, egli attivò una serie di riforme: tributarie, agricole e commerciali – industriali. Tuttavia la sua strategia non ebbe buoni risultati, soprattutto quella avviata contro i poteri del clero, in particolare quelli dei gesuiti, i quali detenevano anche il controllo sull'istruzione. Questa ultima mossa gli costò la posizione, in quanto nel 1765 egli fu cacciato da palazzo dal nuovo duca Ferdinando. Successivamente avvenne l'invasione da parte della truppe francesi, i quali requisirono tutto, anche i possedimenti della chiesa. Alla morte di Ferdinando salì al comando del ducato parmense un fedele di Napoleone: il generale Médéric Moreau de Saint- Méry. Il generale operò cercando di far rifiorire i commerci e l'agricoltura. Nel 1801 un gruppo di aristocratici chiese al generale Médéric di poter erigere un nuovo teatro nell'area del Palazzo Landi Pietra, di cui nessuno si curava, in quanto era ora mai in rovina. Fu edificato alle spese di questo gruppo di aristocratici, con l'unica postilla di renderlo pubblico al compimento del dodicesimo anno dalla sua entrata in funzione. Il costruttore si ispirò al modello di quello eretto a Milano : Teatro della Scala, tuttavia si preferì dare più spazio alla platea piuttosto che al palcoscenico, utilizzando una soluzione a ellittica piuttosto che una disposizione a ferro di cavallo come alla Scala di Milano, questo risultato ha tuttavia raggiunto ugualmente un'acustica perfetta. Nel 1816 il teatro divenne pubblico con un decreto di Maria Luigia, che successivamente fu intitolato a Giuseppe Verdi. A conclusione dei lavori la cittadinanza regalò al teatro un enorme lampadario in cristallo in stile greco, che anni dopo fu trafugato e mai più ritrovato.
Quando nel 1810 Napoleone scese a Parma per sposare Maria Luigia, trovò un'economia in ripresa. Con la caduta del marito Napoleone, il ducato di Parma e Piacenza rimase sotto il dominio di Maria Luigia e della sua discendenza, grazie all'editto di Fontainbleau del 1814, scalzando quindi ogni possibilità da parte dei Borboni di tornare al potere. Il governo di Maria Luigia fu molto florido, grazie soprattutto al potenziamento dell'agricoltura e dei commerci, dovuti alla costruzione di nuovi ponti e strade. Fu emanato un nuovo codice a sostituzione di quello napoleonico, il quale fu preso anche come modello da altri stati della penisola, in oltre fu riaperto l'Ateneo a Parma nel 1811 e fu incrementato il volume numerico dei libri all'interno della biblioteca Palatina. La sovrana morì di polmonite nel 1847, questo lasciò un grande vuoto nella popolazione, che l'aveva amata e rispettata per il suo buon governo, svolto con spirito di moderazione.  Successivamente salì al potere Carlo III il quale si operò per promuovere molte riforme e altre proposte che colpivano direttamente la nobiltà e il clero. La sua corte era diventata un covo brulicante di cospiratori, i quali non mancarono di cercare di uccidere lo stesso duca, promotrice di tale azione fu la contessa Luisa Maria di Berry. Con l’armistizio di Villafranca, salì al potere Giuseppe Manfredi, il quale sarà anche il primo componente del senato del regno d’Italia, divenendo conte nel 1911 per volere di Vittorio Emanuele III. La città di Piacenza passò ad una economia militare, grazie soprattutto al moltiplicarsi di capannoni dediti allo stoccaggio delle materie prime per le polveriere, inoltre molti beni ecclesiastici, ma anche il Foro Boario, Palazzo Farnese, passarono sotto la proprietà del governo militare. Nel 1861 la città fu collegata ai grandi centri urbani di Torino - Milano e Bologna, si incominciarono a programmare diverse operazioni di demolizione, per abbattere caseggiati e si interrarono i canali che erano divenuti fogne a cielo aperto. Furono costruiti nuovi assi ferroviari, furono rase al suolo molte abitazioni per la creazione dei Giardini Pubblici dedicati alla regina Margherita. Sul finire dell'800 fu edificato il Macello Pubblico, ammodernato agli inizi del '900 con celle frigorifere, il quale fu in servizio sino agli anni '70. Con l'introduzione dell'istruzione obbligatoria, nel 1893 fu edificata la prima scuola elementare. Nel 1904 iniziarono i lavori per la costruzione di un ponte in ferro che affiancava quello della ferrovia sul Po. Tra il 1870 e 1890 iniziarono a crescere piccole aziende e manifatture nelle zone di periferia della città, le quali puntavano soprattutto sulla lavorazione della seta e sulla creazione di bottoni.  Attorno al settore primario ruotavano altri satelliti, i quali si occupavano della trasformazione del prodotto, pertanto sorsero nuovi mulini per la macinazione, zuccherifici, industrie della conservazione e caseifici. Nel 1913 fu progettata la sede dell'amministrazione provinciale e delle poste e telegrafi. Durante la II guerra mondiale i bombardamenti furono imperterriti, per cercare di far saltare i ponti sul Po. Con la fine del conflitto la città cercò di tornare alla normalità, già negli anni '50 si registrarono le prime migrazioni dalla campagna verso la città, per poi negli anni '70 passare alle migrazioni di connazionali provenienti da altre regioni, questo portò quindi ad un allargamento dei quartieri verso la campagna.

ECONOMIA

Attualmente l'economia della città si concentra soprattutto sul settore primario suddiviso fra agricoltura e allevamento di bovini e suini (in collina), ma il secondario ha guadagnato il suo spazio soprattutto nel comparto della meccanica, industria alimentare e conserviera come zuccherifici e az. vinicole, ma anche chimica, carta, materie plastiche ed edilizia. Nella provincia si trovano in oltre impianti di raffinazione petrolchimica e giacimenti di metano.

La basilica sorse sulle fondamenta di un Monastero del V sec. nel XII, il tempio fu dedicato ai dodici apostoli, ma successivamente distrutta nel IX sec. dalle incursioni barbariche degli Ungari. Fu successivamente ricostruito, ma venne nuovamente distrutto. Il tempio attuale risale alla edificazione del 1107dedicato a S. Savino. La basilica è suddivisa in tre navate, sorrette da pilastri di dimensioni diverse, i quali sorreggono le volte a crociera. Antecedente all’abside è collocato un coro rettangolare con volta a botte, al disotto di questa superficie si trova la cripta, la quale è suddivisa in tre navate composte da otto campate con volte a crociera. Le poche tracce degli affreschi restano ancora visibili sono del XII sec. Nel presbiterio, nella cripta e nell’abside nord sono presenti tracce di mosaici. La facciata fu durante i secoli rimodellata, e quella attuale è quella elaborata in stile barocco, con il portico chiuso da una cancellata.

L’edificio fu eretto nel 370 a commemorazione del Santo patrono della città, un ex legionario convertito e martirizzato nel 303, dieci anni prima che Costantino riconoscesse la religione cattolica. Essa subì diverse modifiche sin dai primi secoli di vita, così che non si riesce a definire con certezza l’originale pianta dell’edificio. Nel 1004 fu innalzata la torre ottagonale, ornata a principio da tre ordini di bifore, due dei quali furono successivamente coperti. Sul finire del XII sec. fu iniziato il portale, inglobato successivamente nel pronao del “paradiso”, ove sono raffigurate ai lati le figure di Adamo ed Eva. Nel ‘500 fu rifatta l’abside e furono aggiunte delle cappelle laterali. L’interno un tempo era ricco di decorazioni di grande pregio, di cui oggi rimane ben poco alle pareti, così come nel soffitto a volte.

La chiesa fu edificata su di una precedente chiesa nel XIV, l’interno è suddiviso in tre navate sorrette da otto colonne cilindriche, terminanti con absidi quadrate. Lungo le navate laterali si aprono le cappelle votive. Nel XVI fu costruita la sacrestia, la quale fu rivista nel XVIII sec. in chiave barocca. La facciata fu rifatta sul finire del ‘600. Successivamente nel ‘700 la chiesa fu chiusa al culto e trasformata in un ospedale militare e poi in caserma. Purtroppo durante i bombardamenti del ’45 la chiesa fu seriamente danneggiata. Successivamente la proprietà passò al Comune che lo utilizzò come magazzino.

Il collegio venne costruito nel 1732 come struttura ove istruire i giovani seminaristi, purtroppo la struttura venne distrutta dalle truppe austriache nel 1746. Il cardinale Giulio Alberoni lo ricostruì nel 1748, e riuscì a vedere ultimata la sua opera in quanto nel 1752 morì nel suo palazzo, il corpo fu poi collocato in un sepolcro marmoreo nella cappella del collegio, . Il collegio si trova nei pressi della via Emilia, esso si compone di quattro corpi di fabbrica disposti l’uno accanto all’altro formando un quadrato con al centro il cortile porticato. La biblioteca è composta da scaffali in noce intarsiato, scalette e ballatoi, al suo interno sono custoditi volumi e manoscritti pregiati. In oltre sono da segnalare i gabinetti di Fisica, delle Scienze Naturali con una raccolta di uccelli e mammiferi, il centro si Sismologia ove erano raccolte informazioni sugli avvenimenti sismici e l’Osservatorio Meteorologico. Nel 1964 fu costruita una galleria, nella quale furono collocate le opere e gli arazzi lasciati in eredità al collegio dal cardinale Alberoni. A queste opere d’arte si aggiungono anche i mobili, come lo scrittoio da viaggio realizzato in Cina con sfondo in lacche dorate, lo scrittoio e l’orologio a pendolo creato dalle mani londinesi di George Clarke.

Nell’855 fu iniziata la costruzione della chiesa di S. Giustina, voluta dal vescovo Sigismondo, la quale assunse le funzioni della cattedrale di S. Antonino. Successivamente, la costruzione del tempio fu modificata e sostituita con l’attuale Duomo nel XII sec. L’edificio presa una pianta basilicale, lo spazio interno è suddiviso in tre navate terminanti ciascuna con un’abside, mentre nell’intersezione fra la navata maggiore e il transetto, si trova un grande tiburio. La facciata a capanna è composta da marmo verde di Verona e da pietre dorate, nel mezzo, sopra i tre portali, è collocata una galleria, mentre nel centro della sezione è collocato un rosone di sette metri di diametro. A chiudere la scenografia è il campanile a pianta quadrata che si collocata alla sinistra del tempio, il quale termina a cuspide sulla quale è collocato un angelo segnavento in rame dorato, raggiungendo i 70 metri di altezza.

Poco sotto le bifore è ancora presente una gabbia in ferro, voluta da Ludovico il Moro, la quale serviva per rinchiudervi i criminali, era un deterrente contro la violenza, ricolta a tutta la popolazione. L’interno è sorretto da pilastri, ognuno dei quali reca una formella con l’effige della corporazione mercantile e artigiana. Dietro all’altare maggiore è presente un polittico il legno policromo in stile gotico, opera di Antonio Borlengo e del pittore Bartolomeo da Groppallo, l’opera è alta 4 metri e mezzo e largo tre, esso è suddiviso in tre fasce verticali; quella centrale è collocata la statuetta della Vergine Assunta, mentre nelle laterali sono presenti figure di santi. Sempre in questa sezione del tempio si trova il coro ligneo in stile gotico del XV sec.
La cupola è suddivisa in sette parti, ognuna delle quali dipinta con santi e immagini della Vergine. Sotto il presbiterio si scende verso la cripta, dedicata a S. Giustina, essa è sorretta da 127 colonnine, qui è inoltre collocato un organo ottocentesco. Importante è anche il Museo Capitolare, il quale conserva una serie di manoscritti musicali, codici musicali, oltre al codice Magno scritto fra il XII e il XV sec.

La chiesa è suddivisa internamente da tre navate, di cui solo la centrale termina con un abside semicircolare. L’altare Maggiore è composto da marmi policromi, adorno da statue raffiguranti il pontefice Pio V e Benedetto XI. Adiacente era l’antico convento che si componeva un tempo da due chiostri, uno dei quali ospitò l’inquisizione dal 1500 sino al 1769. Nel 1810 la chiesa fu chiusa e solo nel 1862 riacquistò le sue funzioni, mentre il convento fu soppresso e utilizzato come magazzino e abitazione.

La chiesa fu costruita sulle fondamenta di una precedente chiesa dedicata a S. Maria di Betlemme. Qui fu conservato un affresco del XV sec. di scuola Lombarda. Sul finire del ‘700 l’ordine dei Serviti, fu scacciato, e a loro subentrarono i preti della confraternita dedita a S. Filippo Neri, per poi divenire una parrocchia nel 1866. L’edificio si presenta con una facciata a capanna alla quale si affianca il restaurato campanile alto 35 metri, l’interno è suddiviso in tre navate, di notevole rilevanza è l’altare maggiore collocato in questo luogo nel 1928.

La chiesa fu edificata nel XV sec. dalle Clarisse, che si erano insidiate a Piacenza attorno al 1336. La chiesa fu successivamente riedificata nel 1600 con pianta a croce greca. Gli interni sono adorni di affreschi con raffigurazioni bibliche, mentre sull’altare maggiore, posto in una nicchia, si trova il crocifisso ligneo del XV sec. Con l’editto napoleonico il convento fu soppresso e fu utilizzato da Maria Luigia come ricovero per le fanciulle indigenti. L’edificio fu successivamente abbandonato sino al 1971, quando la Pia Società di S. Francesco lo rilevò.

Essa fu edificata nel XI sec., nell’800 sotto il governo della duchessa Maria Luigia divenne un oratorio ducale, mentre oggi ospita la confraternita piacentina dello Spirito Santo, nata nel 1258. L’interno della chiesa è suddiviso in tre navate sorrette da colonne sottili culminanti con capitelli a piramide tronca rovesciata. Nell’abside si trova un coro ligneo e al di sotto della pavimentazione si trova la cripta.

La chiesa fu edificata nel XII sec., l’interno è suddiviso da tre navate, con quella centrale più alta di quelle laterali. Esternamente invece si ammira la facciata a capanna con portico tripartito, suddiviso da tre archi, fra i quali spicca quello centrale per la sua maggiore ampiezza.

La chiesa a croce latina fu costruita dall’ordine dei frati Minori su di un appezzamento di terreno, posto nel centro della città, donato loro dal ghibellino Ubertino Landi. Lo stile della costruzione del tempio richiama sia quello romanico che in gran parte quello gotico, la facciata è a capanna, delineata da archetti ciechi. Nel mezzo spiccano due lesene che alternano i tre rosoni, ove quello centrale risulta essere vetrato oltre che il maggiore per diametro, mentre quelli laterali sono aperti sul tetto delle navate laterali.

L’accesso al tempio è dato da un ricco portale adornato con archi concentrici e colonnine con capitelli corinzi, sopra il quale è collocata una lunetta del XV sec. raffigurante l’Estasi di S. Francesco. L’interno è suddiviso in tre navate, quella centrale più alta delle laterali e culminante in un’abside, sorrette da bassi pilastri in mattoni. Le navate laterali sono adornate da cappelle. Adiacente al tempio si trova il convento, un tempo molto più ampio, grazie ai suoi tre chiostri, successivamente i domenicani nel 1810 dovettero lasciare il tempio a causa dell’editto napoleonico.

La chiesa data attorno al VI sec. d.C. fu costruita con materiale di recupero. L’edificio fu costruito con una pianta circolare, avente nel sottosuolo la cripta della chiesa si S. Margherita. Questa chiesa fu interrata attorno al XI sec. e riscoperta solo durante i lavori di restauro della chiesa intitolata a S. Margherita. L’ambiente si presentò agli occhi del personale addetto ai lavori perfettamente integro.

Sul finire del XIII sec. arrivano in città i frati eremiti dell'ordine di S. Agostino, i quali costruirono la loro chiesa con annesso il monastero, grazie alle offerte della popolazione e soprattutto della famiglia  Landi. Nel XVII sec. la chiesa fu nuovamente riedificata e della precedente costruzione restano solo l’abside e la facciata. Anche questo edificio fu chiuso agli inizi dell’800 per essere impiegato come magazzino e stalla, mentre il convento fu distrutto. Soltanto con i restauri negli anni ’60 del XX sec. vennero nuovamente alla luce gli affreschi del '300 coperti da strati di intonaci, questi furono staccati ed esposti ai Musei Civici a Palazzo Farnese.

Già prima del X sec. qui sorgeva un oratorio, poi ricostruito nell’XI sec., fu qui che Urbano II nel 1095 tenne il concilio ove bandì la crociata per la Terra Santa. L’edificio attuale fu costruito nel XVI sec. La pianta del tempio è a croce greca (ispirazione all’opera del Bramante), l’edificio culmina con una cupola maggiore e quattro minori. La cupola Maggiore fu dipinta dal Pordenone con le raffigurazioni di profeti, Sibille e putti, mentre sul soffitto della lanterna è rappresentato il Dio padre, tuttavia l’opera rimase incompiuta, la quale fu terminata da Bernardino Gatti, il quale inserì nel tamburo le storie di vita della Vergine e nelle quattro sezioni sottostanti i quattro Evangelisti.
Sono sempre del Pordenone gli affreschi delle cappelle della Natività e quella dedicata a S. Caterina, tuttavia l’artista non riuscì nemmeno lui a concludere i lavori.
Tra il ‘600 e ‘700 la chiesa si arricchì di importanti opere di diversi maestri come il Guercino, Antonio Campi, Giovanni Battista Trotti ed altri artisti.
Sul finire del ‘700 furono apportate modifiche all’abside e si diede vita al maestoso altare dove è collocata la Madonna lignea di Campagna.
Successivamente i frati vennero espropriati dal convento a seguito delle leggi napoleoniche, i frati dovettero attendere sino al 1897 per riavere il convento dal Comune.

Essa fu donata ai Gesuiti nel XVI sec. ove potervi instaurare la loro sede, la quale si proponeva di istruire la classe dirigente dell’epoca. Successivamente fu deciso l’abbattimento di questo edificio per poterne costruire uno nuovo sul finire del ‘500. Il progettista fu il gesuita Giorgio Soldati, il quale fece realizzare oltre al tempio anche gli alloggi per i religiosi ed un collegio. Successivamente i gesuiti furono cacciati nel 1768 e da quel momento la decadenza e lo spoglio della struttura fu inarrestabile, infatti gran parte del patrimonio librario finirono alla biblioteca Palatina di Parma e quando tornarono i religiosi, per un breve periodo sino agli inizi dell’800, tale fenomeno non cessò. Infine la destinazione degli edifici fu quella di magazzini. La chiesa fu riaperta al culto solo sul finire del XIX sec., a seguito di una permuta ottenuta fra il vescovo e il comune, che nel frattempo era entrato in possesso della struttura. Ci vollero molti restauri, oltre alla ricostruzione della facciata per poterla riportare al suo splendore.

Le fondamenta della chiesa hanno origini antiche, già nel 874 era esistente la chiesa di Gesù Risorto e dei dodici Apostoli, adiacente alla quale si trovava il monastero delle Benedettine, tale complesso fu voluto dall'imperatrice Angilberga, che nel 882 vi si ritirò assumendone la carica di badessa e qui fu sepolta nel 889. Questo monastero fu molto ricco grazie soprattutto alle concessioni terriere, ai pedaggi e al porto di propria proprietà nella confluenza con il fiume Trebbia. Successivamente presero possesso della struttura i monaci benedettini i quali vi rimasero sino al 1809, quando il complesso fu adibito a caserma. La chiesa come la vediamo oggi è opera del rifacimento del 1425, la quale è preceduta da un cortile porticato. L'interno è composto da una pianta a croce latina, suddiviso in tre navate con due tiburi. Le volte della navata centrale e dei due bracci del transetto maggiore sono decorate a cassettoni. Lungo le navate laterali si dipartono le cappelle votive. E' presente un coro ligneo riccamente intarsiato, opera iniziata nel '500, che da prima fu collocata davanti all'altare maggiore e successivamente prese l'attuale collocazione solo sul finire del secolo. Un tempo qui era esposta la Madonna Sistina, opera di Raffaello da Urbino, il quale la dipinse agli inizi del '500, attualmente l'opera si trova al museo di Dresda, in quanto i Benedettini la vendettero al re di Sassonia nel 1754.

La costruzione del palazzo comunale iniziò nel 1281, per il cui realizzo furono demolite diverse abitazioni e due chiese del X sec. L’edificio fu portato a termine solo per un terzo del progetto originario, in quanto i lavori furono interrotti nel 1304, a causa della cacciata del Signore Alberto Scotto. Per i primi decenni il palazzo non fu utilizzato come luogo di incontro per le assemblee, ma fu comunque simbolo di rappresentanza, è qui che nel 1351 fu accolto il poeta Francesco Petrarca. Successivamente, l’ampio ambiente principale, fu diviso in più sezioni, dove potervi ricavare uffici, magazzini e celle per le prigioni. I duchi Farnese ne rividero il suo impiego, utilizzandolo come sede del Consiglio Ducale, del Collegio dei Dottori, dei Giudici, per poi essere nuovamente modificato in un teatro.

Con il passare del tempo l’edificio mutò nuovamente sembianze, nel ‘700 molte baracchine si erano addossate alle sue mura e alcuni commercianti avevano chiuso le arcate per ricavarne all’interno un proprio esercizio commerciale. Solo con l’Unità d’Italia si volle riportare all’antico splendore originario l’edificio, tali lavori di restauro si protrassero sino agli inizi del ‘900.
L’opera si presenta con una facciata lunga 42 metri e alta 27, dalla quale si distacca un porticato attraverso cui si accedeva all’interno dell'edificio, è sorretto da cinque archi a sesto acuto di stile gotico, poggianti su pilastri di marmo bianco. Al di sopra del portico, la facciata cambia l’utilizzo dei materiali, preferendo il laterizio, in questa sessione sono ricavati i sei finestroni polifori, adornati da fasce a tutto sesto. A coronare la sommità del palazzo fu collocata, sul finire dell’800, una serie di merlature guelfe. A sinistra del palazzo si innalza la torre quadrata denominata “Lanterna”, la quale raggiunge circa i 40 metri di altezza.

Il palazzo si trova nell'attuale via Roma e presenta una facciata a bugnato, nella quale spicca un timpano al cui interno è incastonato uno stemma, sopra il quale spicca un balcone con ringhiera in ferro battuto stile rococò. Sulla destra del cortile si trova la scala d'onore, mentre un'altra scala con ringhiera a pianta pseudo ellittica, conduce all'ultimo piano dell'ala sinistra, ove si trova un grande salone adorno di affreschi.

Nella seconda metà del ‘500 iniziarono i lavori di costruzione di una opera immensa, per la Piacenza del tempo, infatti si demolì la cittadella viscontea, roccaforte difesa ai lati da quattro torri e da masti alle quattro porte d’ingresso, il tutto circondato da un fossato. L’opera, con a capo l’architetto Francesco Paciotti fu finanziata grazie a tutto ciò che i Farnese riuscirono a rastrellare alla popolazione, con i primi finanziamenti si iniziò la demolizione dell’ala est della cittadella. L’architetto Paciotti fu poi sostituito dal Barozzi, detto "il Vignola", il quale affidò dapprima il progetto al figlio Giacinto e poi ad un allievo. I lavori furono fermati nel 1568 e ripreso dopo circa ventanni. A continuare i lavori fu chiamato Caramosino, che se ne occupò sino al 1596. Il progetto fu poi bloccato a un terzo della sua realizzazione nel 1602. In questo periodo i Farnese si erano stabiliti definitivamente a Parma e in città facevano ritorno sporadicamente per brevi soggiorni, di conseguenza fu deciso di terminare i lavori internamente e di non continuare la costruzione degli altri corpi di fabbrica.

Per decenni gli artisti si avvicendarono per apportare la loro arte, tanto che quando Carlo di Borbone si trasferì a Napoli fece traslocare circa 800 opere. Il palazzo si compone di due corpi di fabbrica distinti, uno facente parte della nuova edificazione, l’altro di dimensioni più ridotte proveniente da ciò che restava della vecchia cittadella. L’ingresso al complesso del palazzo è consentito mediante un portone ricavato nel mastio rinascimentale, dal quale si accede al cortile interno di forma quadrata, chiuso su tre lati dai corpi di fabbrica. uno scalone chiuso da un cancello a due battenti, ornato dallo stemma giglio simbolo della famiglia Farnese, conduce al primo piano, ove si trova la cappella del Caramosino, la quale è realizzata con una pianta ottagonale, in essa è presente anche un piccolo presbiterio. Il luogo sacro presenta un soffitto a cupola leggermente concavo, il quale si poggia sul tamburo, nel quale sono ricavate quattro finestre, attraverso le quali filtra la luce. Al primo piano si trova la Sala del Trono, con il soffitto affrescato dallo stemma farnese attorniato dalle allegorie della Pace, Giustizia, Abbondanza e Buon Governo. A questa rappresentazione si aggiunsero nel 1682 geni e putti. La sala successiva presenta sulla volta la figura del carro del Sole. Scendendo a piano terra ci si ritrova in un vasto salone, ove sulla volta fu affrescata l’Aurora, mentre nelle altre sale sono rimaste le decorazioni della quadristica ove erano collocate un tempo le tele raffiguranti momenti della storia di Alessandro Farnese e della Vita di Paolo III., da non dimenticare è inoltre l’Alcova della Duchessa, riccamente decorata da stucchi, opera del piacentino Paolo Frisoni. Qui soggiornò per molto tempo Enrichetta d’Este, moglie dell’ultimo duca Farnese. Successivamente al trasferimento del duca Carlo a Napoli, il palazzo fu destinato da prima a magazzino, poi a caserma militare, solo nel 1945 il palazzo tornò ad essere di dominio della città di Piacenza. I restauri del complesso iniziarono solo negli anni ’70. Nella mole Vignolesca è stato ricavato l’archivio di Stato, dove sono collocati documenti risalenti al medioevo sino al XX secolo, oltre al Museo Civico Comunale, all'interno del quale è collocato il famoso tondo del Botticelli ove è raffigurante la Madonna adorante il Bambino, mentre sullo sfondo fu raffigurato S. Giovanni. Altre opere di grandi maestri sono presenti nel museo, come quelle di: Draghi, Ricci, Brescianino e Ilario Spolverini. Nei sotterranei invece si trovano una trentina di carrozze, che racchiudono due secoli di storia: dal XVIII al XIX sec., a queste si affiancano anche i carri funerari e di pronto soccorso, una collezione insolita, che ci permette di comprendere l'evoluzione del primo soccorso e di come si accompagnavano le salme all'ultimo saluto dei propri cari.

Il palazzo si compone di tre ordini di finestre, ove nel primo è presente una decorazione a bugnato liscio. Agli angoli del coronamento della facciata sono posti due gruppi scultorei, mentre nel mezzo fu collocato sul finire dell'800 un orologio, adornato dallo stemma di papa Pio IX. Il portale è adorno da due talamoni, che sorvegliano l'ingresso al cortile interno, scandito da portici con archi a tutto sesto.

Qui si ergono i due monumenti equestri farnensi, uno in onore a Ranuccio I (1612) l'altro dedicato al padre Alessandro. Il primo gruppo equestre fu ultimato nel 1620.
Nella realizzazione del gruppo equestre di Alessandro, l’autore Mochi supera se stesso, riproducendo la figura del guerriero con la mano sinistra reggente le redini del cavallo e con la destra il bastone del potere. L’opera fu conclusa in soli due anni, ma solo nel 1625 furono decisi i temi delle piastrein basso rilievo da apporre alla base della statua. In quella dedicata a Ranuccio furono inserite le piastre raffiguranti il buon governo, il buon consiglio, la magnificenza, la libertà, la sapienza e la pace. Nel secondo sono raffigurate gli dei pagani Pace e Demetria, oltre a Pan e Bacco. Inoltre sono raffigurati due episodi importanti, uno secondo Ponte sulla Schelda e l’incontro don gli Ambasciatori Inglesi.

Nel 1801 un gruppo di aristocratici chiese al generale Médéric di poter erigere un nuovo teatro nell'area del Palazzo Landi Pietra, di cui nessuno si curava, in quanto era ora mai in rovina. Il Teatro fu edificato alle spese di questo gruppo di aristocratici, con l'unica postilla di renderlo pubblico al compimento del dodicesimo anno dalla sua entrata in funzione.

Per la costruzione il costruttore si ispirò al modello di quello eretto a Milano : Teatro della Scala, tuttavia si preferì dare più spazio alla platea piuttosto che al palcoscenico, utilizzando una soluzione di forma ellittica, piuttosto che una disposizione a ferro di cavallo come alla Scala di Milano, questo risultato tuttavia raggiunse ugualmente un'acustica perfetta. Nel 1816 il teatro divenne pubblico con un decreto di Maria Luigia, che successivamente fu intitolato a G. Verdi. In un secondo momento si decise di apportare alcune modifiche all'opera del Tomba, come ad esempio la facciata neoclassica con doppio portico, ove al primo piano si sviluppa un grande terrazzo, dal quale partono quattro colonne ioniche che sorreggono un timpano. A conclusione dei lavori la cittadinanza regalò al teatro un enorme lampadario in cristallo in stile greco, che anni dopo fu trafugato e mai più ritrovato.

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