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REGIONE EMILIA ROMAGNA / REGGIO EMILIA / VENTASSO
Una giornata unica durante l’anno, il solstizio d’estate, tanto celebrata quanto amata per il richiamo alla luce e al calore.
Per questa giornata abbiamo pensato di fare una passeggiata verso la valle che tanto richiama la storia fra le province di Reggio e Modena, quella del fiume Secchia, risalendo le sue acque sino a giungere al luogo in cui esse sgorgano fresche e limpide, prive di inquinamento umano e pure come la candida neve dalla quale esse traggono origini. Eravamo sicuri di trovare acqua alla sorgente, in quanto durante l’inverno, anche se non rigido, è stato generoso con pioggia e neve, preservandone le riserve all’interno della corona di monti che distinguono l’anfiteatro della vallata. Negli anni precedenti il clima secco e gli inverni miti, non avevano dato la possibilità di arrivare sino a Giugno con le fonti ancora in attività di risorgiva, dandone il senso di desolazione.
Non fummo molto mattinieri, infatti giungemmo al Passo del Cerreto solo alle ore 12.30, proprio in tempo per parcheggiare l’auto poco distante dal passo, in prossimità del bar ove si fermano tutti i motociclisti e ciclisti che valicano il passo “da o per” la Toscana o l’Emilia. Ci infilammo gli scarponi, zaini in spalla e senza alcuna remora, iniziammo a mangiare i panini durante la camminata, perché quando l’appetito chiama lo zaino del cibo risponde. Già alla partenza si potevano notare le cime che del Passo di Pietra Tagliata (1779 m s.l.m) si collegano all’Alpe di Succiso, l’altopiano più alto dell’Appennino Emiliano con la sua quota dei 2.000 metri. I colori verdi erano tutti presenti, si passava dal verde smeraldo, al verde scuro dei pini, una tavola di cromature meravigliose dipinte sotto al cielo blu cobalto, con qualche spruzzo di velatura di bianco, dovuta al passaggio di nuvole.
La prima parte del percorso
prevedeva di seguire il sentiero 00 ( il quale segue tutto l’Appennino
dell’Emilia Romagna) nonché il percorso E1 (percorso Europeo), per poi deviare
sul sentiero 671. Girammo dietro al bar e ci immergemmo nella fitta
vegetazione, l’acqua piovuta nei giorni precedenti aveva reso il sentiero una
poltiglia scivolosa, pertanto dovemmo cercare di saltare alcuni pezzi di
sentiero aprendone di nuovi o seguendo quelli che erano stati percorsi dagli
escursionisti prima di noi. Anche gli arbusti e le piante di lamponi erano
rigogliose, queste ultime invadevano a pieno il sentiero e bisognava ballare il
limbo non solo per evitare le spina, ma anche per non disturbare le api durante
il rito del cibarsi del nettare dei fiori, che avrebbero regalato verso il mese
di Agosto splendidi frutti dal color rubino. Mentre giungevamo al passo
dell’Opedalaccio, cosa vediamo sbucare dalla boscaglia? Un’auto, e non la
classica jeep o la pandina, ma un’Audi 4x4, ovviamente non guidava un pastore,
ma non certo nemmeno una pecora. Superato il nostro primo traguardo ci
distaccammo dal sentiero principale per seguire il 671 AVP verso le fonti del
secchia, cronometrate in circa 1 h di cammino. Mano a mano che salivamo di
altitudine lo sguardo riusciva sempre di più a spaziare sulle vette che
continuavano oltre il passo del Cerreto, come il Monte la Nuda, che nel momento
in cui riuscimmo a fotografarlo le nudi iniziarono a farvi capolino. Le foto da
cartolina che scattammo resero il momento della scalata molto più piacevole,
soprattutto in quanto la prima parte del cammino era quasi tutta in leggera
pendenza, e successivamente per salire in quota la difficoltà aumentava. Giungemmo
in meno di un’ora alla destinazione, ce ne accorgemmo dalla magnifica vallata
che ci si aprì dinanzi ai nostri occhi, l’erba fresca e setosa rendeva i nostri
passi ovattati, qua e là sedimenti di rocce staccatesi dalle cime in ere oramai
lontane, tramutavano il paesaggio in un ambiente lunare, nel mezzo del quale il
piccolo rivolo di acqua fresca del fiume Secchia, iniziava la sua corsa alla
vita verso il fiume Po, si dimenava zampillando, scivolando via con una calma
apparente, per gonfiarsi ed espandersi, rendendosi protagonista dalla Natura circostante.
Cercammo un posto dove poterci sistemare per terminare il pranzo, mentre
risalivamo il sentiero che conduceva alla volta del Passo di Pietratagliata,
ecco che trovammo la nostra collocazione all’ombra di un albero, distendemmo i
teli e terminammo la nostra cassetta della frutta.
Per me però il percorso non
era ancora terminato, distaccai momentaneamente gli altri per salire verso
l’ultimo step: Passo di Pietratagliata, così continuai a seguire il sentiero
che si inerpicava verso la vetta a sinistra della vallata, giunsi a destino in
poco meno di mezz’ora, da qui la vista si riversava sulle due province: Reggio
dalla parte del Secchia e della vetta del Monte La Nuda, mentre alle spalle si
trovava il confine della provincia Reggiana al Passo del Lagastrello, da dove
iniziava la provincia di Parma e il Parco dei 100 Laghi. Da qui iniziavano vari
sentieri, uno era quello che conduceva verso l’Alpe di Succiso in 50 minuti e
da lì verso il Monte Casarola in 1h 10 e al rifugio Pascolo, mentre discendendo
verso il Lagastrello si poteva optare per altre mete seguendo il percorso 623
verso i Ghiaccioni, oppure seguire il n°650 verso il rifugio Sarzana o il n°657
verso la Sella del Monte Acuto. La corona delle vette che mi circondavano erano
selvagge, brulle e appuntite, come spade di guerrieri addormentati in attesa
del loro risveglio. Discesi nuovamente alla volta delle sorgenti per
riallinearmi al gruppo e tornare verso valle, mentre le nudi attorno a noi
iniziavano ad abbassarsi, anche se il meteo non aveva diramato un bollettino di
pioggia, infatti molti ragazzi iniziarono la loro salita per potersi accampare
per la notte in attesa dell’alba. Non percorremmo a ritroso il sentiero
dell’andata, ma seguimmo il secondo percorso, sempre n°671, che si sarebbe ricongiunto
al primo n.671 AVP, tale via attraversava il lato destro del monte seguendo per
un tratto il letto del Secchia, per sterzare nuovamente verso il passo
Ospedalaccio, rimanendo sempre coperti dalla fitta boscaglia, con tratti
fangosi e altri secchi, una visione poco rassicurante era quella degli alberi
di pino secchi e privi della loro folta chioma di aculei, erano lì nel bosco spogli,
nudi ed inermi dinanzi a noi; superata questa sezione, come per incanto
ritornammo nella favola del verde Bosco. Il percorso era durato in tutto 3 ore.
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