HOME / REGIONI ITALIANE / ITINERARI EMILIA ROMAGNA
REGIONE EMILIA ROMAGNA / PARMA / MONCHIO ALLE CORTI
La località di Prato Spilla è una frazione all’interno del comune di Monchio delle Corti, ed è conosciuta per essere una località sciistica, collocata a 1.350 m s.l.m, mentre durante l’estate diventa un’attrazione per i bambini, per via del parco denominato “delle 100 avventure”, oltre che per tutti gli escursionisti.
La mia giornata di fine Ottobre inizia presto, con sveglia all’alba per poter essere in macchina e iniziare il tour il prima possibile, infatti il tragitto per giungere a prato Spilla fu tortuoso, disseminato di curve e dislivelli; partendo dal lato modenese, passando per il Passo del Lagastrello in località Reggiana, valicando quindi il ponte della diga che giunge nel lato Parmense, ecco che finalmente arriviamo a destinazione.
Scelsi questa nuova meta, in quanto avevo visto dalla mappa dei percorsi la presenza di diversi laghi, che potevano essere un ottimo spunto per foto e paesaggi. Difatti i laghi principali che assolutamente non si potevano perdere erano il L. Verde, L. Ballano, L. Palo e il L. Squincio.
I colori dell’autunno sono sicuramente i più belli di tutto l’anno, con le tonalità meravigliose del giallo, rosso ed ebano, che realizzano ad ogni inquadratura immagini da copertina. Il rosso delle foglie lungo i sentieri che diventano un incrocio di fantasie dorate, mentre nascosti nel sottobosco spuntano dal terreno funghi di ogni forma e colore di pura fantasia, tra i quali si sbizzarrisce anche la natura, donando loro sfumature iridescenti.
Arrivai in prossimità della stazione sciistica, sulla sinistra della strada si apriva un grande slargo ove poter parcheggiare la vettura (parcheggio Prato Spilla 1334 m), da dove iniziava il sentiero 703 verso il lago Verdarolo a soli 25 minuti e in successione gli altri sentieri per seguire un percorso ad anello, che mi avrebbe condotto a ritroso verso la stazione sciistica.
Cambiati gli indumenti, calzati gli scarponi e caricato lo zaino sulle spalle, iniziai la mia camminata giornaliera seguendo una mulattiera attrezzata con una staccionata ove potersi reggere risalendo il pendio, passando successivamente al vero sentiero, attraversando una sassaia dalla quale lo sguardo giungeva ben oltre la strada provinciale, arrivando sino alla vallata di Monchio delle Corti. Lungo il sentiero, nascosti nel tappeto di foglie rosso, trovai diversi funghi colorati, un’esplosione di tossine fluorescenti da guardare e non toccare (ovviamente), visto che molti portano diretti all’obitorio. Arrivai al primo bivio denominato Scaliccia a 1401 m, da qui in 5 minuti arrivammo al lago Verdarolo discendendo a 1388 m, il quale era circondato lungo tutto il suo perimetro da una fitta vegetazione, pertanto riuscire a scattare una foto all’intero specchio d’acqua non fu facile, soprattutto perché dalla parete della montagna trasudava acqua da ogni dove e il sentiero era divenuto un ruscello, l’unico modo per poter proseguire il cammino fu quello di saltare da una zolla di terra all’altra, cercando di impantanarci il meno possibile. Da qui in 5 minuti giungemmo al lago Scuro, quando lo vidi compresi perché lo chiamavano così, in quanto sulla sua superficie si muoveva una massa oleosa simile a petrolio, fissa ed immobile. Ritornai verso il lago Verdarolo e proseguii lungo il percorso 703/B, il quale mi condusse verso la biforcazione fra la discesa verso il Lago Palo e la risalita verso Sella Canuti lungo il percorso 00. Questo era il lato della montagna dal quale l’acqua fuoriusciva per alimentare il lago Verdarolo, acque che ricoprivano interamente il sentiero sottostante. La salita continuava immersa in una faggeta, dove dovetti prestare la massima attenzione ai segnali, i quali non erano esattamente molto chiari, difatti più di una volta dovetti fermarmi per poter individuare i segnali nascosti nella vegetazione, come fossi alla caccia al tesoro. Arrivai in una piccola radura con erba alta e qualche cespuglio, la quale terminò a ridosso della cresta della montagna, la quale era circondata da una sassaia, oltre la quale la vegetazione non era ancora riuscita a imporsi. Purtroppo non riuscii a trovare i segnali, scioccamente iniziai a risalire la sassaia, che a seguito dell’umidità dell’acqua era impervia e scivolosa, tanto che gli scarponi in alcuni tratti non riuscivano a fare presa e più di una volta rischiai di scivolare.
Mi fermai a riflettere e a guardarmi attorno, era impossibile che non ci fosse segnalato un sentiero, giunti fino a questo punto, non riuscivo a credere che il CAI avesse scelto di far arrampicare gli escursionisti su per la parete. Infatti dopo un’attenta analisi della vegetazione scrutai un segnale più in basso, all’interno del bosco. Con attenzione ridiscesi la sassaia e tornai finalmente lungo un sentiero più certo e sicuro, che velocemente mi portò verso il bivio in direzione di Sella Canuti; da quell’altezza riuscivo nitidamente a vedere il Lago Palo, il quale silente dormiva tranquillo fra le sue acque verdi smeraldo. Decisi di risalire verso Sella Canuti per poter ammirare dall’alto le bellezze circostanti. In poco meno di 15 minuti ero giunto al secondo bivio all’altezza di 1733 m., qui si apriva il paesaggio delle meravigliose vette spartiacque dell’Appennino Tosco Emiliano, continuando fin verso il golfo di La Spezia; tutta la scenografia era armoniosamente composta dai colori che la natura aveva sapientemente dosato, fra i laghi, i boschi, le vette montuose, il cielo e il mare, tutto era ancora più meraviglioso grazie alla luce del sole, che rendeva questi elementi scintillanti. Da qui continuai alla volta del monte Malpasso (1776 s.l.m.), dal quale si ammirava il passo del Lagastrello con l’omonima diga artificiale, mentre sullo sfondo si stagliava la catena delle Alpi Apuane, le quali si ergevano fiere e rudi verso il cielo, mentre alle mie spalle potevo vedere il lago Verdarolo. Ritornai verso Cima Canuti dove stesi il telo e feci il mio frugale pranzo composto da panini con formaggio. Ovviamente le foto di rito furono scattate per poter immortalare il momento. Ritornai alla volta del bivio primario e discesi seguendo le indicazioni per il Lago Palo (1511 s.l.m.), oltrepassando la sorgente che lo alimenta, con acque scherzose e fresche. Di grande impatto fu la montagna rocciosa che si rifletteva nelle acque verdi ed immobili del lago, quasi a volersi imporre su tutta la contea circostante, mentre a ridosso della sponda a sud si erano ammassati tutti i detriti che nel corso dei secoli erano rotolati verso valle, i quali trovarono in questo luogo la fine della loro corsa. Le foglie ricoprivano interamente il percorso come enormi tappeti damascati, nascondendo qua e là i segni degli scarponi. Giunsi al bivio con l’indicazione verso il Passo Giovarello seguendo il sentiero 705, mentre continuando a seguire il 703 in 5 minuti si sarebbe giunti alla meta della giornata. Continuai a seguire per un tratto il tragitto verso il Passo del Giovarello, arrivando a metà strada fui attorniato da piccole pozze d’acqua ai lati delle piste invernali da sci. La discesa verso Prato Spilla fu veloce tanto che in poco tempo ero già dinanzi all’hotel, attorno alla struttura era stato realizzato un impianto di risalita, mentre per i bambini e ragazzi, dall’altra parte del torrente, si trovava il Forest Avventura, una soluzione per far scatenare i propri figli. Mi avvicinai alla cartellonistica per vedere gli altri percorsi della zona e rimasi sbalordito dalla quantità di laghi presenti sull’altro versante della montagna superato il passo del Giovarello. Purtroppo il tempo era giunto a conclusione, non restava altro che appuntarsi i percorsi e programmare una prossima gita. Prima di discendere la strada asfaltata e giungere al secondo parcheggio, dove era parcheggiata l’auto, mi distesi al sole sotto il porticato in pietra e mi rigenerai prima di tornare a guidare per altre 2 ore circa.
© 2006. Esploriamo